sabato 16 marzo 2019

I CAMBIAMENTI "SUPERDI'"

Oggi mi ritrovo a scrivere un post molto personale.
Non è semplice affrontare i cambiamenti qualsiasi essi siano, vita privata, lavoro, salute, amicizie.
Comunque...
Sono un dipendente SUPERDI', ancora per poco. Dipendente è un parolone. In questo momento mi sento un numero, peraltro molto insignificante, nemmeno uno “0” perché quello avrebbe almeno un suo posto preciso.
La storia dei supermercati SUPERDI' non è lunghissima ma sicuramente ricca di vicissitudini, anche paradossali.


Prima di raccontarvi le mie sensazioni e i miei pensieri vi riassumo un po’ la storia. 

Parto da come si presentano sul loro sito:
 
“Siamo nati come una semplice macelleria che si trasformò col tempo in un Supermercato”.
“Erano i primi anni Sessanta e la Grande Distribuzione stava muovendo i suoi primi passi in Italia. Da quel momento in poi l'amore per il nostro lavoro non ci ha più abbandonato ed è da queste origini che nel 1994 è nato il primo punto vendita SuperDì”.
SuperDì e IperDì sono insegne italiane e per questo conoscono molto bene le esigenze dei propri clienti. 

Anche wikipedia vi può dare informazioni sulla nascita di questo gruppo:
 
 
Origini
Il Cavaliere Felice Franchini verso il 1890 apre un mattatoio a Lentate sul Seveso contemporaneamente all'apertura di tre macellerie. Dinamico com'era cerca subito sbocchi per la vendita delle carni brianzole. Dopo vari incontri prende l'appalto delle forniture navali per la carne dei grandi piroscafi di Italia di Navigazione e Lloyd Triestino. Forniture che cesseranno solo alla fine degli anni sessanta con lo sviluppo del trasporto aereo e la fine dei grandi transatlantici. Oreste e Vittorio, figli di Felice, oltre a proseguire nelle forniture navali aprono una serie di 10/12 punti vendita di macellerie/salumerie e prodotti alimentari in provincia di Milano e Bergamo. Nel 1964, a Seveso, Oreste e Vittorio aprono il primo supermercato completamente self service in provincia di Milano. Nel 1966 vengono a mancare i due ideatori. Il loro posto viene preso dai figli Gianfelice di Vittorio e Peppino e Angelo di Oreste. Già nel 1974 i punti vendita aperti con il marchio Supermercati Brianzoli sono quattro: Calusco d'AddaTradate e due a Meda. Nel corso degli anni, SB arriva a ottenere una grande notorietà soprattutto grazie alla pubblicità in onda su Antennatre, tv privata regionale, così i supermercati arrivano a essere una sessantina espandendosi anche in PiemonteVeneto ed Emilia-Romagna. Anche con l'aiuto di Imprenditori autonomi legati al marchio in franchising. Nel 1982 la sede si sposta da Lentate sul Seveso a Cantù in un nuovo grande magazzino centrale di oltre 10.000 m². Mentre per la centrale carni viene acquistata la Galbiati Carni di Bovisio Masciago e fondate altre due società per la distribuzione della frutta e verdura e dei surgelati. Nel frattempo si aprono anche i primi ipermercati a GrandateCastagnito e Arcore, quest'ultimo cortesemente inaugurato dal Dott. Silvio Berlusconi.
Acquisto da parte di Fininvest
Nel 1991 il gruppo viene acquisito dalla Fininvest di Silvio Berlusconi, venendo così accorpata alla Standa. La Famiglia Franchini, cedendo i Supermercati Brianzoli a Berlusconi, ottiene il 14% del capitale azionario di Standa, suddividendo tra i vari soci le responsabilità di sviluppo aziendale e controllando in toto gli acquisti e la politica commerciale.
Nel corso degli anni novanta tra la Famiglia Franchini e il Dott. Berlusconi avvengono le prime frizioni, dovute al contrasto di interessi tra il Gruppo Standa e Publitalia. Per Standa i fornitori dovevano concedere il più possibile che il mercato permetteva... ma gli stessi, il più delle volte, erano grandi clienti di Publitalia, quindi con interessi chiaramente contrastanti. Il progetto hard discount non viene approvato. L'incontro con Amancio Ortega per passare a marchio Zara i trenta migliori punti vendita Standa, chiaramente in franchising, non passa, dato che avrebbe creato grossi problemi sindacali. Per questo insieme di contrasti Gianfelice, Peppino e Angelo Franchini si dimettono dalle loro funzioni e lasciano il Gruppo Standa dopo aver firmato il primo bilancio in pareggio e altri due con buoni utili. Utili mai ripetuti successivamente.
Acquisizione parte alimentare del gruppo Standa
Nel 1998 Gianfelice Franchini, appoggiato dal Mediocredito Lombardo, acquisisce il ramo alimentare della Standa. Subito dopo l'acquisizione rivendono la rete alimentare del sud a un gruppo di imprenditori legati a Conad[1], mentre molti punti vendita della rete alimentare del centro-nord vengono ristrutturati secondo la nuova immagine commerciale di Standa.
Acquisto da parte di Billa
Con l'acquisizione da parte dei tedeschi di REWE Group (che in passato avevano acquisito Billa), il marchio SB Mercato cessa di esistere, convertendo la maggior parte dei punti vendita in supermercati Standa, mentre un paio verranno chiusi per sovrapposizioni territoriali.

Ed ecco l’evoluzione del sistema: giocare con il futuro delle persone. 

Qui troverete diversi articoli su cosa è successo a tutta la catena Superdì o Nuova Distribuzione da più di un anno ad ora.  


Tutta la vicenda coinvolge l'intero gruppo dei magazzini, si tratta di  più di 40 negozi e di più di 700 dipendenti. 

Io sono dipendente della filiale di Borgomanero. E partiamo dal comune dove risiedo, al quale sembra non gli importi nulla se un punto vendita in zona centrale chiude i battenti dopo anni e anni di attività, negozio che dava da lavorare a 13 persone. Si tratta pur sempre di persone, o no? 

La legge per noi non prevede ne' cassa integrazione ne' aiuti sociali. Dopo tre mesi senza stipendio si può attingere alla Naspi che comunque tra 2 anni finisce. Ma le tasse si devono pagare e bisogna pur mangiare.  

La gente non vuole soldi, vuole la dignità, vuole poter lavorare: un lavoro onesto in un punto vendita che incassava e che di futuro ne avrebbe avuto se chi, non appagato da soldi e potere che già aveva in abbondanza, non lo avesse sostanzialmente distrutto.
Un Comune che non ha MAI espresso alcun interesse verso il nostro caso, come fossimo persone invisibili. "In fondo è l'ennesimo negozio in centro che chiuderà....". Un centro città che sta diventando sempre più triste e morto perché, oggi, per chi ha un minimo di cervello e sa fare due conti, è meglio chiudere che investire. 

Ma la cosa paradossale è che gli investitori esisterebbero e i compratori pure ma le leggi contorte, fatte in nome del Dio Denaro e non del benessere e della realizzazione delle persone, ribaltano le procedure rendendo improbabile per non dire impossibile la realizzazione della soluzione più ragionevole. 

Il Comune da solo magari era poco? Ok! Ecco allora la palla alla Provincia. Ma anche quest’ultima si è dimostrata disinteressata. Probabilmente il nostro caso non faceva così tanta notizia.  

La Regione dimentichiamola. Nemmeno credo si sia posta il problema.
 
La cosa che fa più arrabbiare è che in Lombardia, dove i punti vendita sono la maggioranza, le cose stanno andando molto meglio. Diversi negozi sono stati riaperti sotto altri marchi e altri si stanno per vendere. Come è possibile una tale disparità di comportamenti? Semplicemente perché, guidati in prima linea dai dipendenti, seguiti dai comuni, dalla provincia e dalla regione hanno costretto il potere a fare il suo dovere sacrosanto. 

In Lombardia 32 punti vendita. In Piemonte 6  punti vendita.
6 negozi abbandonati al loro destino.  

Famiglie che si sono viste cambiare la vita. Per me vuol dire aver smesso di lavorare dopo 25 anni di lavoro dipendente.  

Cosa farò? 

Mi reinventerò e sopravviverò, non c’è problema. Ma ciò che è successo mi ha cambiato dentro. Altre persone, nella mia condizione, hanno dovuto fare i conti con problemi molto più grandi dei miei. A tutto c'è rimedio ma il menefreghismo e il potere dei soldi sono dentro alle nostre vite come non mai e mi domando che futuro lasceremo ai nostri figli. Questa atavica domanda, forse banale, in questa epoca assume un significato tutt’altro che retorico. Siamo nell’epoca del menefreghismo atomico, condito con rabbia e disprezzo per chi chiede poco e vuole poco. Che vuole semplicemente una vita felice, lontano dalla ricchezza fine a sé stessa. Ricca però degli ingredienti veri: famiglia, amici, lavoro (che oggi è semplicemente sfruttamento e poco più, almeno per le persone semplici). 

Anche i sindacati, che anni fa (magari) aiutavano i lavoratori, adesso ben poco fanno, vuoi per colpa di persone poco interessate (se non al loro stipendio) vuoi anche perché le leggi italiane sono sempre più complicate e interpretabili a seconda della situazione (e del vantaggio personale, dei soliti, tra l'altro) 

Tra pochi giorni o settimane tutto credo sarà finito e, chissà, magari poi i negozi vuoti senza personale saranno pronti per essere nuovamente riaperti.  

I vecchi dipendenti, con tutto il loro impagabile know-how, lasciati fuori per far spazio a nuovi e più sfruttabili lavoratori. Anzi, schiavi. Perché quella è la definizione più corretta. Una bella società di schiavi infelici. 

Possiamo ribellarci? Possiamo cambiare le cose?
No. Non credo sia più possibile. 
Avanti tutta, verso un mondo che non ci piace, deciso da chi non capisce che la felicità sta nelle piccole cose. Che, purtroppo per loro, normalmente sono gratis.

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